La plastica è il materiale che DIO dimenticò di inventare.
Gli Italiani hanno vinto vari premi Nobel per la Fisica, ma solo uno per la Chimica; il mio.
Mi chiamo Giulio Natta, ed oggi vi racconterò la mia storia.
Sono nato a Imperia, in Liguria, nel 19000 e da sempre ho amato la Chimica, un amore chiaramente ricambiato.
Il mestiere di un chimico è strano: richiede di montare assieme atomi e molecole come se fossero mattoncini LEGO®, così come un meccanico monta assieme pezzi per creare un motore.
Il problema è che i pezzi da assemblare sono minuscoli, così piccoli che non si possono vedere o toccare con mano. Primo Levi scrisse che:
“Noi chimici siamo come elefanti ciechi davanti al banchetto di un orologiaio,
con dita troppo grossolane di fronte a quei cosetti
che dobbiamo attaccare o staccare”.
Non potendo montare gli atomi direttamente, dobbiamo inventare trucchi astuti per convincerli ad unirsi nel modo che vogliamo.
Ero già laureato in Ingegneria Chimica a 21 anni. A 24 diventai professore, a 30 professore ordinario, insegnando a Pavia, a Roma, al politecnico di Torino, e infine al Politecnico di Milano.
Ero bravo a usare la tecnica, allora molto recente, della cristallografia a raggi X che permette di capire la struttura tridimensionale delle molecole. I raggi X hanno una lunghezza d’onda molto piccola, paragonabile alla distanza media tra due atomi in una molecola. Se sparati su un cristallo, “rimbalzano” sui diversi piani cristallini, generando interferenza che impressiona una lastra fotografica, fornendo una immagine della struttura del cristallo.
Con questo nuovo, potente strumento, potevo “vedere” dentro i materiali, studiando la loro struttura atomica. All’inizio usai i raggi X per studiare materiali convenzionali come ossidi e minerali. Poi, durante un viaggio in Germania, scoprii una nuova razza di molecole, animali strani appena apparsi nel grande zoo della Chimica: i polimeri.
All’inizio del ‘900 non si capiva bene cosa fossero i polimeri, e i chimici discutevano animatamente sulla loro struttura. In Germania incontrai un gruppo di scienziati che aveva la teoria giusta: i polimeri erano catene lunghissime, formate da tanti piccoli elementi attaccati in fila, una sorta di “spaghetto molecolare”.
I polimeri sono oggetti completamente diversi da tutte le altre molecole; un tipico polimero può essere lungo migliaia di volte di più di una molecola di acqua o di zucchero. Per formare un polimero, bisogna ripetere la stessa reazione non una o due volte, ma milioni di volte. Le molecole “normali” mi sembravano semplici moscerini rispetto a queste nuove “macro” molecole, che richiedevano approcci completamente nuovi per essere prodotte e studiate.
Una piccola, normale molecola ha di solito una forma geometrica rigida, ben definita; un polimero può avere infinite forme, attorcigliarsi su sé stesso, impacchettarsi in infiniti modi diversi…. Mi buttai con entusiasmo in questa nuova scienza dei polimeri, usando la cristallografia per studiare la struttura di questi oggetti minuscoli, scoprendo nuovi modi per sintetizzare gomme o altri importanti materiali. A Milano, nel 1946, creai il Centro di ricerca in Chimica Industriale, col supporto del CNR e del Politecnico, per studiare questa nuova Chimica.
Ma il meglio doveva ancora venire.
L’ispirazione giusta, quella che avrebbe portato al Nobel, mi arrivò nel 1952 mentre ascoltavo il seminario di un chimico tedesco, Karl Ziegler.
Ziegler aveva scoperto come alcuni sali metallici potevano far unire tra loro migliaia di molecole di etilene per formare una lunga catena: era il polietilene (abbreviato PE) più semplice polimero conosciuto, composto da una singola fila di atomi di carbonio. Mi fu subito chiaro il potenziale industriale di questi “catalizzatori”, così proposi alla maggiore industria chimica italiana del tempo (la Montecatini, poi diventata Montedison) di acquisire i diritti di sfruttamento del lavoro di Ziegler.
La catalisi di Ziegler porterà alla produzione in grande scala del polietilene, una plastica leggera e poco costosa, così resistente e facile da produrre che invaderà tutto il mondo, sotto forma di buste usa e getta.
Mentre Ziegler si concentrava a produrre catalizzatori sempre più efficienti, io ebbi un’idea ancora più ardita: usare i catalizzatori non solo per favorire la produzione dei polimeri, ma anche per controllare la loro struttura.
Come la nostra mano destra è speculare alla sinistra, anche alcune molecole possono avere due diverse strutture, identiche ma speculari. I minuscoli operai di Ziegler, montando assieme le molecole, non facevano caso alla loro orientazione, creando catene di mani sinistre e mani destre a caso.
Un classico esempio di polimero “disordinato” era il polipropilene (PP), una catena di atomi di carbonio con delle piccole ramificazioni laterali, orientate a caso. Per colpa di questo “disordine”, il PP era un solido amorfo, poco robusto, solubile in vari solventi, e tendenzialmente inutile.
Lavorando con passione, riuscii a trovare molecole capaci di “pilotare” la crescita del PP in modo che tutti gli atomi laterali fossero dallo stesso lato, come capelli pettinati in una frangia. Questa piccola differenza di struttura ebbe effetti enormi, sia dal punto di vista tecnico che industriale. Grazie alla struttura regolare e ordinata, le lunghe catene di polimero si organizzano in trecce microscopiche, che a loro volta si impacchettano in strutture cristalline robuste e stabili. Il PP prodotto in questo modo è una plastica con ottima stabilità chimica, termica e meccanica, ideale per creare contenitori, bacinelle, barattoli, giocattoli…
Fu subito commercializzato dalla Montecatini col nome commerciale di MOPLEN. Ziegler e Natta vinsero, grazie ai loro catalizzatori, il premio Nobel per la chimica nel 1963.
Oggi voi siete abituati a parlar male della plastica, ma per capire davvero quanto questo materiale abbia cambiato (in meglio) la vita della gente vi consiglio di guardare sulla piattaforma Youtube le vecchie pubblicità del Moplen, che mostrano quanto fossero rivoluzionarie e, per l’epoca, attraenti le bacinelle e i contenitori di plastica, leggeri, poco costosi, resistenti all’acqua e al calore.
La plastica è un materiale incredibile e bellissimo; qualcuno ha detto che è il materiale che Dio si dimenticò di inventare. Purtroppo, proprio perché non esiste in Natura, la Natura non sa come smaltirla.
La plastica è diventata onnipresente e, soprattutto, così poco costosa che voi ogni anno ne buttate via tonnellate, inquinando la terra e il mare. Producete ogni anno circa 100 milioni di tonnellate di PE, e più di 50 milioni di tonnellate di PP: sta a voi trovare il modo per riciclare e sprecare meno questo prezioso materiale che ho inventato.
Spero che questa mia breve storia vi convinca che, a volte, un atomo in qua o in la può avere un effetto enorme sulla nostra Storia, e sulla vita di miliardi di persone.