“Meglio aggiungere
vita ai giorni,
che non giorni alla vita.”
Mi chiamo Rita, tutti mi ricordano come un’elegante signora coi capelli bianchi, premio Nobel e senatrice a vita. Prima di quello, però sono stata una ragazza giovane, appassionata di Scienza e dalla vita avventurosa.
Sono nata nel 1909 a Torino, figlia di Adamo Levi, un ingegnere, e Adele Montalcini, una pittrice.
Quando una mia amica e governante morì di malattia, decisi di studiare Medicina, perché volevo curare le persone. Mio padre era un classico uomo di vecchio stampo, vedeva per me un futuro di moglie e di madre. Non fu contento quando decisi di iscrivermi all’università, ma neanche si oppose. Il mio professore si chiamava Giuseppe Levi, e doveva essere bravo, perché formò come studenti tre premi Nobel: Renato Dulbecco, Salvador Luria, e me.
Mi piaceva studiare e fare ricerca, poi arrivò il 1938. Le leggi razziali di Mussolini stroncarono sul nascere la mia carriera universitaria. Provai a emigrare in Belgio, per continuare a lavorare, poi tornai a Torino nel ‘39; la Seconda Guerra Mondiale era già iniziata.
Volevo studiare le cellule nervose, in particolare come cresce il sistema nervoso prima che noi nasciamo. Mentre il nostro corpo si sviluppa, i nervi si formano a partire da poche cellule connettendo al cervello ogni muscolo, occhio, orecchio, ogni pezzo di pelle, con rarissimi errori. È come se una macchina crescesse da sola e, come per magia, creasse un cavo elettrico per ogni fanale, per ogni bottone, per ogni lampadina, senza sprechi e senza duplicazioni, senza nessun ingegnere a decidere come e dove. Cosa guidava questo processo? Mistero.
A Torino non avevo più un posto per lavorare, e non era prudente per gli ebrei farsi vedere troppo in giro; ma casa mia era grande e avevo una camera singola, con una grande finestra. Mi venne un’idea: avrei attrezzato un laboratorio di ricerca in camera da letto!
Arrivai sino a Milano a comprare attrezzatura; al ritorno due poliziotti mi fermarono credendo che in un pacco rotondo portassi un panettone (illegale a quel tempo); rimasero delusi trovando solo un microscopio.
Mio fratello mi aiutò a costruire un incubatore per le uova di pollo, che avrei usato per i miei studi; con quello, il microscopio e un fornetto, il mio laboratorio era pronto. Mi ispirava il lavoro di un altro scienziato, Viktor Hamburger, che aveva dimostrato come, in mancanza del muscolo bersaglio, i nervi non crescevano affatto; forse erano i muscoli stessi a dire ai nervi dove e quando crescere, chissà come.
Nonostante il laboratorio improvvisato, avevo qualche asso nella manica. Il mio microscopio era particolare: grazie a un gioco di specchi potevo osservare contemporaneamente le cellule e un foglio di carta, su cui disegnavo a mano ciò che vedevo (ho sempre avuto talento artistico. Una volta famosa, imparai a disegnare anche alcuni dei miei vestiti).
Con un composto di argento potevo colorare le cellule nervose e contare quelle vive, quelle che si riproducevano e quelle che morivano. Contai migliaia di cellule; un lavoro sfiancante, ma tanto non avevo altro da fare, bloccata dalla guerra nella mia camera, un po’ come è successo a voi durante il lock-down. A complicare il lavoro, cominciarono i bombardamenti su Torino; quando suonava l’allarme antiaereo scappavamo in un rifugio sottoterra. Passai molte ore al buio sottoterra, con il soffitto che tremava per le esplosioni, tenendo stretto a me al sicuro solo il mio prezioso microscopio.
Analizzando embrioni di pollo a diversi stadi di crescita, osservai il fenomeno della morte di intere popolazioni nervose (chiamato apoptosi). Le cellule nervose nascevano in realtà dappertutto ma, se un muscolo era rimosso o mancante, morivano. Allora, cosa era responsabile della crescita e della rigenerazione nervosa?
Analizzando uova di pollo a diversi stadi di crescita, scoprii che le cellule nervose nascevano in realtà dappertutto ma, se un muscolo era rimosso o mancante, morivano senza lasciare nulla. Cosa guidava la crescita dei nervi solo dove serviva davvero? Con i semplici mezzi a disposizione nel mio laboratorio non riuscii a trovare una risposta definitiva, ma pubblicai comunque i risultati delle mie osservazioni nel 1943, in Belgio (in Italia non potevo, perché ebrea). Sulla rivista, ogni autore riportava come indirizzo un’università o un laboratorio; io scrissi semplicemente “Torino”, non potendo scrivere che lavoravo in camera mia.
Nel 1943 scappai a Firenze dove rimasi nascosta cambiando spesso casa per sfuggire, a volte per un pelo, alle deportazioni dei Tedeschi. Finita la guerra finalmente ripresi a lavorare. Viktor Hamburger lesse il mio articolo e mi chiamò a lavorare negli Stati Uniti, a Saint Louis; rimasi lì a fare ricerca per 26 anni. Finalmente trovai la risposta alle mie domande: a guidare la crescita delle cellule nervose era una piccola proteina, poi chiamata Nerve Growth Factor, o NGF.
Faticammo, all’inizio, a convincere la comunità scientifica; a tutti sembrava logico che le istruzioni per la crescita fossero contenute nel DNA della cellula, l’idea che fosse una molecola esterna a regolare il processo era troppo nuova. Ma altri esperimenti ci diedero ragione rivelando che ci sono centinaia di molecole simili all’NGF, che guidano la crescita delle cellule in tantissimi modi.
Questa classe di molecole fu collettivamente chiamata ‘fattori di crescita‘ e comprendeva anche ormoni e vitamine in grado di agire su tutto l’organismo.
Nel 1961, il CNR mi richiamò in Italia offrendomi la direzione del centro ricerche di Neurobiologia; lavorai là, dividendomi tra USA e Italia, sino al 1995. Vinsi il premio Nobel per la Medicina nel 1986.
Nel corso della mia lunga vita sono stata il primo premio Nobel a raggiungere 100 anni, la più longeva senatrice italiana, la prima donna ad essere ammessa alla pontificia accademia delle scienze. Hanno persino dato il mio nome a un asteroide.
In Senato, già anziana, lottai per garantire fondi per la ricerca, e fu proprio il mio voto, nel novembre del 2006, a salvare il governo Prodi.
A un’intervistata per i miei 100 anni, dissi:
“Se muoio domani o qualche tempo dopo per me non fa differenza, perché alla morte del corpo sopravvivono i messaggi che abbiamo dato in vita”.
Sono morta a 103 anni. Se andate a St. Louis troverete una stella nella “walk of fame”, proprio vicino a quella di artisti come Chuck Berry, Josephine Baker, Miles Davis.
È dedicata a me.
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