“Nella nuova era,
il pensiero stesso
sarà trasmesso
via radio.”
Mi chiamo Guglielmo, e sono stato a lungo la persona più famosa d’Italia. Perché? Perché ho contribuito a rendere il mondo più piccolo, unendo persone tra loro distanti.
Fui scienziato famoso, ricco imprenditore, premio Nobel a 35 anni e presidente del CNR. Il mio cognome era così famoso che diventò il nome di un mestiere, il marconista.
Io ho inventato la radio.
Sono nato a Bologna nel 1874. Ero di famiglia ricca, figlio di un proprietario terriero e di una nobildonna inglese, erede della famiglia Jameson (si, quelli del famoso whisky).
Ricco, non andai mai a scuola ma imparai matematica, chimica e fisica da insegnanti privati. La vita agiata può crescere rampolli viziati e senza voglie, ma io fui fortunato; al contrario, mi piaceva imparare e costruire cose nuove, e avevo una mentalità da imprenditore. A 18 anni diventai amico di un professore dell’università di Bologna, Augusto Righi, che studiava le onde elettromagnetiche, un campo ancora nuovo e del tutto inesplorato della Fisica.
Michael Faraday aveva scoperto nel 1831 che la corrente in un cavo elettrico poteva indurre corrente in un altro cavo a distanza, senza che i due si toccassero. Lo stesso effetto poteva essere indotto da un magnete in movimento. Se corrente o magnete oscillavano abbastanza velocemente, potevano creare delle onde elettromagnetiche, che avevano la stessa velocità della luce. Forse anche la luce era fatta di onde elettromagnetiche? L’idea era eccitante.
Un altro scienziato, Heinrich Hertz, aveva dimostrato che si poteva trasmettere un segnale a distanza, usando due cavi di un metro come antenna. Molti fisici erano interessati alle onde elettromagnetiche dal punto di vista scientifico. Il mio obiettivo era più pratico ma e più ambizioso: sviluppare un telegrafo senza fili, qualcosa che funzionasse anche a livello commerciale.
Gli inizi furono davvero umili. Lavoravo nella mia stanza, assemblando fili e batterie da solo nella villa di famiglia, villa Griffone, sui colli di Bologna, che esiste ancora adesso. Per “sentire” le onde elettromagnetiche usavo un coesore, una piccola fiala piena di limatura metallica; in presenza di segnale nell’antenna la polvere si allineava a due contatti, permettendo il passaggio di corrente. Il coesore andava resettato dopo ogni tentativo, agitandolo con una mano per disordinare la polvere metallica.
Nel 1894, a vent’anni, riuscii a far suonare un campanello a distanza; ma era una distanza misera, da un lato all’altro della mia camera. Dopo questo “successo” cominciai a fare esperimenti all’aperto, usando come assistente scientifico, più o meno volontario, il mio maggiordomo. Dapprima lo mandai in cima a una collina, gli dissi di sventolare un fazzoletto bianco quando la mia trasmittente riceveva un segnale. Poi lo mandai dietro la collina, ordinando di sparare un colpo di fucile se la radio squillava. Quello sparo fu un suono delizioso per le mie orecchie; le onde radio, a differenza dei segnali di luce, potevano oltrepassare anche ostacoli naturali!
Dovevo il segreto di questo successo a tanto lavoro e piccoli miglioramenti tecnologici. A differenza di Hertz, usavo un’antenna verticale, e collegata a massa con la terra. L’antenna verticale permetteva di emettere un segnale in tutte le direzioni dello spazio in modo uniforme e nella direzione giusta, cioè verso l’orizzonte.
Proposi la mia invenzione al governo italiano, che però non mostrò interesse. Allora andai in Inghilterra, che era la patria del progresso tecnologico, e lì trovai sponsor e finanziamenti. In questo, mi aiutarono molto mia madre e il mio sangue misto; saper parlare Inglese era importante, non come oggi ma quasi.
Nel 1897 dimostrai la trasmissione a 6 km di distanza; subito dopo dimostrai che il segnale poteva viaggiare anche sul mare, attraversando il canale di Bristol; potevamo comunicare con le navi, ad esempio in situazioni di pericolo! Grazie a finanziamenti comprai uno yacht, l’Elettra, che diventò il mio famosissimo laboratorio galleggiante.
Nel 1899, per la prima volta la radio salvò delle vite. Un apparecchio della neonata Wireless Telegraph & Signal Company da me fondata, installato su una nave-faro, aiutò a salvare l’equipaggio del mercantile Elbe che si era arenato.
Volevo di più e accettai una sfida ancora maggiore; mandare segnali radio attraverso l’Atlantico, in concorrenza con i grandi cavi sottomarini del telegrafo convenzionale. Questo, secondo i calcoli dell’epoca, era impossibile; su quelle distanze la curvatura del pianeta Terra dovrebbe bloccare qualsiasi radiazione elettromagnetica, che viaggia solo in linea retta. Invece, nel 1901, una stazione in Canada, riuscì a ricevere un segnale da una trasmittente in Inghilterra, grazie a un’antenna sorretta da un aquilone. Com’era possibile? Organizzai una serie di esperimenti con la mia nave, trasmettendo a distanze sempre maggiori. Vidi che il segnale radio viaggiava meglio di notte che di giorno, una vera stranezza.
La spiegazione dimostrò che, oltre che audace, ero anche fortunato. Le mie onde radio non seguivano la curvatura della Terra, come io credevo inizialmente, questo era davvero impossibile. Invece, rimbalzavano sulla ionosfera, uno strato di particelle cariche che avvolge la nostra atmosfera. Grazie a questo “specchio” che la Natura mi aveva gentilmente messo a disposizione, per la prima volta America ed Europa potevano comunicare in tempo reale.
Nel 1905 c’erano 180 navi già equipaggiate con le mie radio, prodotte dalla mia ditta, operate da tecnici esperti che saranno poi chiamati “marconisti”; nel 1914, erano diventate più di 1500.
Nel 1912, il transatlantico Titanic urtò un iceberg e affondò. Io dovevo essere su quella nave, ma all’ultimo momento avevo cambiato piani. Per fortuna, però, a bordo del Titanic c’erano due tecnici della Marconi International Marine Communication Company, con una radio; grazie a loro, una nave vicina riuscì a ricevere il messaggio di aiuto in soli 17 minuti, e correre al salvataggio. Dopo di questo episodio, diventai un vero eroe, (ancora più) ricco e famoso. Nel corso degli anni, grazie a continui miglioramenti e scoperte, la mia radio si era trasformata da un gioco di bambino, per accendere una luce dentro una stanza, a uno strumento di enorme importanza sociale, nautica e militare, capace di trasmettere un messaggio quasi istantaneamente da un capo all’altro del mondo.
Dicembre 1894 | 2 m | Da un lato all’altro della stanza |
Estate 1885 | 900 m | |
Luglio 1895 | 3.2 Km | |
Marzo 1897 | 6 Km | Trasmissione sul canale di Bristol. |
Maggio 1897 | 16 Km | |
Marzo 1899 | 44 Km | Trasmissione attraverso il canale della Manica |
Dicembre 1901 | 3500 Km | |
1910 | 9650 Km | Argentina-Irlanda |
1918 | 16000 Km | Inghilterra-Australia |
Ero un eroe anche in Italia, e nel 1928 diventai presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il primo successore di Vito Volterra. Sarei rimasto il presidente del CNR per il resto della mia vita. Sono morto nel 1937; ero sopravvissuto a otto attacchi di cuore, il nono mi fu fatale.
Potete venirmi a trovare a villa Griffone. Sono sepolto nel mio mausoleo vicino Bologna, a Sasso Marconi, un paese chiamato così in mio onore. Lì c’è anche una sezione della mia bella nave Elettra requisita dai tedeschi, usata come nave da guerra, poi affondata dalla RAF.
Lavorai sino al giorno della mia morte; poco prima di andarmene dissi: “in questo campo, c’è ancora tanto da fare…” ed era vero.
Da allora, le onde radio hanno reso il mondo più piccolo, e più unito. Le radio commerciali, la televisione, e poi il radar, il Wi-Fi, il Bluetooth… le nostre onde radio si propagano nello spazio, viaggiando per milioni di chilometri sino ad uscire dal sistema solare dove forse, un giorno, un’altra specie intelligente le potrà ascoltare.
Non ho mai dimenticato quel giorno quando, su una costa ventosa del Canada, riuscii a sentire tre piccoli bip, la lettera “S” in alfabeto morse, trasmessi da un altro uomo come me, a 3500 chilometri di distanza.
Oggi a voi sembra normale comunicare in un istante da un lato all’altro del mondo; invece, questo miracolo è dovuto a un dono della Natura e, modestamente, al mio lavoro.